Asociación para el estudio de temas grupales, psicosociales e institucionales

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Assemblea internazionale sulla ricerca all'interno della Concezione operativa di gruppo, Rimini 20-22 ottobre 2016, Paolo Magatti


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Assemblea internazionale sulla ricerca all'interno della Concezione operativa di gruppo.

Rimini, 20/21/22 ottobre 2016

Paolo Magatti

Qual è lo stato dell’arte della ricerca nell’ambito della concezione operativa di gruppo? Il quesito non è nuovo. Nel 2006 a Madrid si tenne un Congresso internazionale dal titolo “Attualità del gruppo operativo”, al quale partecipò un gruppo piuttosto nutrito di psicosocioanalisti italiani, sia psicoterapeuti che consulenti. Nella conferenza inaugurale –reperibile in rete nel prezioso sito curato da Lorenzo Sartini allíndirizzo http://www.lorenzosartini.com/sullattualitagrave-del-gruppo-operativo.html – Armando Bauleo (1932-2008) sottolineava come la domanda intorno all’attualità della concezione operativa, portasse con sé inevitabilmente una domanda più estesa sul presente e sulle condizioni che rendono possibile uno sviluppo gruppale nella realtà politica e sociale contemporanea. In altri termini, non è possibile limitare il proprio sguardo a una concezione “tecnica” e strumentale del gruppo, senza vincolarlo al presente e alle sue contraddizioni.

Lo stesso spirito mi sembra abbia caratterizzato l’incontro che si è tenuto a Rimini il 20-21-22 Ottobre 2016, convocato da Leonardo Montecchi e dal Centro Studi e Ricerche José Bleger, alla quale hanno partecipato più di settanta ricercatori provenienti dal Sud America (Argentina, Cile, Uruguay, Brasile) e dall’Europa (Italia, Spagna, Francia, Svizzera, Svezia). Rispetto all’evento di Madrid del 2006, però, va sottolineato un elemento che ne marca la differenza. L’incontro di Rimini infatti ha assunto non la forma del Congresso, bensì quello del Laboratorio di Ricerca e dell’Assemblea. Un cambiamento di setting non trascurabile, che segnala l’intento di dare all’incontro un carattere informale, non-burocratico e il più possibile auto-organizzato. In effetti, il contenitore proposto ha facilitato un clima aperto di scambio e confronto, dove la discussione sulle esperienze e sui contributi teorici è stata anche un’occasione –sempre più rara nel nostro contesto ipercompetitivo e disaggregante-per la costruzione o la rivitalizzazione di una trama di legami interpersonali fondati sulla passione per la ricerca e la convivialità.

Il primo giorno è stato dedicato alla presentazione e alla discussione, in tre sessioni parallele, delle ricerche effettuate o in fase di attuazione, condotte sulla base di uno schema di riferimento (ECRO) operativo, quindi legate al pensiero che trova la sua fondazione mitica nelle esperienze di gruppo condotte da Pichon-Rivière nell’ospedale di Las Mercedes di Buenos Aires negli anni ’40 del secolo scorso, sviluppato poi da Bleger e portato in Europa -in Spagna e Italia- da Bauleo a partire dalla seconda metà degli anni ’70.

Nella seconda giornata il gruppo dei partecipanti, in assetto di Assemblea generale (quindi senza un coordinamento operativo incaricato di leggere gli emergenti), si è confrontato sulle possibili traiettorie di sviluppo della rete di ricerca e sulla forma, più o meno istituzionalizzata, della sua configurazione. Il terzo giorno, dopo un confronto con pensieri e approcci diversi ma vicini alla concezione operativa (l’analisi istituzionale francese, la sociologia narrativa, la semiotica e il pensiero basagliano) si è tornati a lavorare in plenaria, per elaborare eventuali linee di ricerca comuni, stabilire come organizzare concretamente la rete dei ricercatori e definire il prossimo appuntamento internazionale che si terrà in Spagna nella primavera del 2018.

Per quanto riguarda le ricerche presentate, emerge come dato di fondo la molteplicità degli ambiti applicativi e delle modalità con cui la tecnica operativa viene concretamente declinata: la sua applicazione in contesti terapeutici (casi di psicosi infantile, disabilità, dipendenze, ecc.), nella supervisione nei servizi pubblici (consultori, servizi psichiatrici, Sert, …) e nella supervisione ad équipe che lavorano con gruppi multi-familiari, sovente composte da psicologi e psichiatri di diverso orientamento teorico e clinico. La tecnica operativa in questi casi consente di mettere a fuoco e di tematizzare lo sviluppo parallelo del processo di cura e di quello che riguarda l’apprendimento (mobilitazione dell’ECRO) dell’équipe curante.

Al di là dei contesti terapeutici, diverse relazioni si sono concentrate sulla dimensione formativa e didattica, con particolare riferimento alle problematiche legate all’organizzazione della didattica e alla formazione dei coordinatori, sia dal punto di vista del processo formativo che dell’identità di ruolo del coordinatore (analisi delle fantasie di trattamento in relazione al compito). Su questo punto Ariele ha dato un proprio contributo originale, presentando la struttura del percorso formativo per coordinatori proposto dall’Associazione, giunto alla seconda edizione, che si caratterizza per coniugare –in una logica di ricerca e sperimentazione– l’approccio operativo con l’analisi dei casi oltre e per la rotazione della funzione di coordinamento tra gli integranti, dove il riferimento alla nozione di “scenario di coordinamento” e di scene immaginate e temute rispetto alla funzione di coordinamento (Kesselman), costituisce la base teorica che fa da sfondo alla sperimentazione.

Di particolare interesse, al di fuori degli ambiti più classici (terapia, supervisione, formazione), sono le applicazioni della concezione operativa in territori di confine, luoghi intermedi tra la psicologia sociale, la psicoanalisi e l’antropologia; alcuni lavori hanno riferito di ricerche sul campo sull’uso terapeutico dell’Ayauasca e sull’utilizzo del gruppo operativo come spazio di rielaborazione di esperienze di stati non ordinari di coscienza, sulla scia del pensiero dell’ultimo Lapassade.

A testimonianza del fatto che la concezione operativa si pone in posizione di apertura rispetto ad autori e a pratiche che stanno “al di là” della psicoanalisi (anche di quella esercitata “oltre il divano”), è l’esplicito richiamo da parte di alcuni relatori al pensiero di Basaglia e soprattutto di Deleuze e Guattari e alle pratiche della schizoanalisi e dello schizodrama, dove il lavoro sull’emergente esorbita dall’ambito della parola, per assumere la funzione dirompete dell’evento collettivo multisensoriale che, rompendo l’ordine istituzionalizzato, tende a riportare sulla scena sociale i portatori di una differenza altrimenti resa invisibile e marginalizzata (per esempio i gruppi di migranti).

Se, dal punto di vista delle prassi, la ricchezza e la poliedricità dei contributi è stata sorprendente, lo stesso non si può dire per gli “avanzamenti” sul piano della teoria e del dialogo con gli sviluppi della psicoanalisi. Ci è sembrato che, complessivamente, ci fossero segnali di interesse per le evoluzioni in senso “estetico” della psicoanalisi post-bioniana e per la nozione contemporanea di “campo analitico” come modello per la clinica, anche gruppale, per esempio attraverso il richiamo alla tematica del “ritmo” e della “conversazione” nel contributo di Osvaldo Saidon. Ma tali possibili connessioni, seppur presenti in forma embrionale, non sembrano essersi sedimentate nel corpo teorico della concezione operativa, che resta fortemente ancorata al pensiero e al linguaggio dei suoi fondatori.

Su un piano più generale, la concezione operativa sembra ancora attraversata, per certi versi drammaticamente, da una dialettica non risolta –e certamente questo rappresenta un suo valore ma anche un suo limite– tra un’anima più ancorata alla psicoanalisi come teoria e come istituzione e un’altra che tende a guardare al “vincolo” soprattutto nella sua dimensione sociale e politica; dialettica che si riflette, almeno in Spagna e in Italia, anche sul piano istituzionale.

Certamente i momenti assembleari sono stati anche l’occasione per una rilettura e una rielaborazione collettiva della storia del movimento che si riconosce nell’ECRO operativo, a partire dall’esilio e dalla diaspora degli anni ’70 degli psicoanalisti argentini in fuga dalla dittatura, fino alla conclusione dell’esperienza del CIR (Centro Internazionale di ricerca) nel 1992, coincidente con la fine del mondo bipolare e la caduta della URSS e della versione burocratica del socialismo. È interessante rileggere un estratto del documento che, nel ’92, ricostruiva le coordinate storico-sociali che si riverberavano nella decisione di porre fine al CIR come organismo internazionale di coordinamento della ricerca nel campo operativo: “Il libero mercato portato all’estremo –speriamo che sia in extremis– non è solo una questione economica perché si va producendo anche una soggettività solitaria e individualista. Ognuno vende la sua piccola mercanzia, materiale o intellettuale. Ne risulta difficile la collettivizzazione degli obiettivi. Tutti mirano a raggiungere il massimo rendimento con il minimo sforzo, nel minor tempo possibile. Questo porta al fatto che ognuno vuole sentirsi libero per ciò che crede necessario per il suo inserimento nel mercato. E perché no..?”.

Sono passati più di venticinque anni da quella data, e quelle parole assumono oggi una veste profetica. Si pone pertanto, nuovamente, il problema di che forma dare ad una soggettività collettiva, il meno possibile burocratizzata ma al tempo stesso in grado di porsi come punto di resistenza nei confronti del dominio onnipervasivo del capitalismo neoliberale che, sotto la parvenza di una libertà immaginaria, riduce la soggettività all’essere-imprenditori-di-sé-stessi e la relazione al mero scambio economico.

Sembra ormai consolidato il fatto che una struttura “centralizzata” abbia fatto il suo tempo. Rimane aperta la questione se il modello della “rete” sia sufficiente per produrre una soggettività in grado di ricercare, pensare, operare e trasformare, almeno in parte, la realtà.

 

 

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